(la versione ‘diario day-by-day’ scritta mentre eravamo in viaggio la trovate sulla nostra pagina Facebook. Qui sul blog proviamo ad essere un po’ più posati e magari più utili per chi volesse replicare la nostra esperienza)
Riprendiamo con il ritardo che ci contraddistingue perché nel frattempo ci tocca pure lavorare. Lo so, lo so, non dite niente.
Qui la prima parte.
Day 5: Monument Valley
Che poi è il motivo vero per cui abbiamo intrapreso questo viaggio.

La Monument Valley è bella di una bellezza dura che da un lato capisco possa non piacere a tutti. Ma dall’altro lato no, è meraviglia allo stato puro. La durezza non sta solo nel tipo di natura che ti fa scoprire, ma anche nel disagio che devi attraversare per arrivarci: la riserva Navajo ti fa sentire una vera merda e io ho avuto per tutto il tempo la spiacevole sensazione di dover camminare sulle uova per non fare peggio.
Le guide, per carità, sono gentilissime (e sì, prendete la visita guidata), ma nel momento in cui iniziano il tour facendoti notare che ‘Navajo’ è una definizione da conquistadores e che loro si chiamano Dineh, l’irrigidimento è automatico. E non che poi ti risparmino nulla: ci tengono a sottolineare che i nomi delle varie formazioni sono quelli dati dall’UOMO BIANCO (sono quasi certa che qui la guida mi abbia fissato visto il mio pallore…) ad uso e consumo dei turisti. Insomma: visita con senso di colpa annesso. Che puoi volere di più?
Nel tour abbiamo visitato sia la Mistery che la Monument, ci siamo fermati in diversi hogan (i Navajo -Sì, SCRIVO NAVAJO, OK?!?!?!- non stanno nelle tende, ma in queste formazioni terrose) e in ogni piccolo gesto delle persone incontrate traspariva una dignità e un senso di appartenenza commoventi. Non mi dilungo sul resto: le parole non possono spiegare quello che abbiamo visto (noi siamo arrivati alle 7.30 del mattino e io mi sono messa subito a piangere ricevendo da Andrea un confortante ‘Ah, beh, bene, se iniziamo così…’, ma magari i vostri accompagnatori hanno un briciolo di cuore) e a dir il vero neanche le foto.
Potete alloggiare anche a Kayenta che ha dei costi umani, altrimenti potete strafare al The View o al Goulding’s Lodge che è anche il trading post originario, dove tutto ha avuto inizio. Passateci anche se non alloggiate lì.
La sera, causa lungo tramonto indescrivibile, ci siamo ritrovati affamatissimi e completamente al buio. Ci ha salvato il trashissimo Mexican Hat: se siete dei puristi della griglia non veniteci; se invece volete il folklore accompagnato da carne cotta sulla fiamma viva, fagioli neri e caffè ancor più nero questo è il posto giusto. Tornerete, però, in albergo delusi perché ci siete dovuti arrivare con l’auto e non a cavallo e non avete potuto assaltare nessuna diligenza. Sono passati dei mesi e io ancora non capisco come si possa preferire la macchina alla carrozza. Ma poi vuoi mettere sparare con un Winchester? Dai.
Day 6: Kayenta – Mesa Verde – Durango
Da qui in poi ci spostiamo verso il Colorado e iniziano i due giorni dedicati ad Andrea. E intendo che ha letteralmente deciso tutto lui, io ero tipo un bagaglio. Spoiler: ha avuto ragione lui su tutto.
La giornata è tutta dedicata al Mesa Verde National Park e alle rovine dei Pueblos Ancestrali, che altro non sono che tribù autoctone.

Perché allora il nome spagnolo? Perché gli Americani sono razzisti senza rendersene neanche conto, il che mi fa sentire meno in colpa per la storia Navajo/Dineh.
(come se li avessi conquistati io personalmente, per altro…).
Nel Mesa Verde visitiamo la Cliff Palace e la Balcony House: per entrambi serve un biglietto di 5$ l’uno che si meritano ampiamente. Le visite partono ogni ora e mezza e i ranger sono veramente piacevoli da ascoltare.
Premessa.
Andrea era arrivato preparatissimo. Sapeva tutto di questo parco e dei Pueblos Ancestrali, tranne una cosa: come mai attorno al 1300 erano scomparsi nel nulla, da un giorno all’altro.
La soluzione che trovate in giro in vari siti è: boh, è successo e basta, abbiamo delle bellissime teorie in merito però.
La realtà è diversa, ce l’hanno illustrata entrambe le guide ed è illuminante.
La domanda è stata posta a tutti: perché pensate che chi stava qui se ne sia andato?
Le risposte mi sono sembrate varie e intelligenti (soprattutto quelle proposte da me…): faide tra tribù, carestie, cambiamenti climatici… tutto aveva (e ha) senso.
Le guide sorridono e dicono (più parlando a se stesse che non a noi): ‘Lo pensano tutti. Mai che qualcuno ipotizzi un fattore culturale’.
‘La gente non si sposta solo quando scappa e non scappa solo perché fugge da un problema. A volte è la ricerca di qualcosa di più, o di qualcosa di diverso o ancora era semplicemente giunto il momento. E la casa fisica la ricostruisci senza problemi, se porti con te la tua Storia’.
Ah.
Perché ormai pensiamo che le persone scappino sempre da qualcosa e non verso qualcosa?
Perché non leggiamo i segnali che ci dicono che qui abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare e ora dobbiamo – letteralmente – andare avanti?
Perché siamo dovuti arrivare in parco scarsamente frequentato da turisti (sono tutti americani!) per ricordarcelo?
La sera arriviamo a Durango che è un gioiellino inaspettato con gente disponibilissima e gentile e oh, io lo dico: io qui ci potrei vivere. Tanto d’inverno io voglio solo sciare e leggere accanto al camino: dove se non qui?
Day 7: Durango – Silverton – Durango
Sulle attività del settimo giorno (messa così sembra un po’ biblica come premessa) avevamo letteralmente rotto il cazzo a aggiornato tutti prima di partire e finalmente era giunta l’ora di Durango e del suo treno a vapore.
L’Official Durango & Silverton Narrow Gauge Railroad Train parte da Durango e arriva a Silverton, un’ex miniera d’argento che dista circa 35km. Quanto ci mettere il treno per fare 35km? TRE ORE.
Quindi tra andata, ritorno e visita della città va via tutta la giornata: se speravate di cavarvela con poco sbagliate. Il west è sofferenza, baby.

Il treno è ricostruito fedelmente, con tanto di scricchiolii, fermate per il rifornimento d’acqua e rallentamenti vari; accanto ci scorre un fiume verde smeraldo che a tratti si trova decine di metri sotto i binari e altre volte è solo qualche metro più in là (spoiler: non un’idea geniale in un luogo dove piove un sacco) e la fuliggine rende tutto estremamente reale.
Scesi a Silverton mi aspettavo quasi di vedere i manifesti dei ricercati con le varie taglie… e in fondo non ci sono andata lontana, grazie a saloon ricostruiti e mantenuti fedelmente, pianisti che conoscono tutto il repertorio country e molto altro.
Tre ore volano e durante il viaggio di ritorno scegliamo di lasciarci cullare dal treno: posiamo cellulare e macchina fotografica e leggiamo. Forse è davvero il giorno più biblico: in questo settimo giorno ci siamo effettivamente riposati.

Day 8: Durango – Canyonland – Moab
Eccolo, il giorno della catastrofe.
Tra Durango e Moab abbiamo inanellato una serie di cazzate tale che se ci penso in pratica siamo vivi per caso: abbiamo sbagliato tutte le strade possibili (un giorno capirò cosa mi porta a non fidarmi mai del navigatore), non abbiamo pranzato perché abbiamo scoperto con sommo orrore che Canyonland è L’UNICO posto di tutti gli Stai Uniti in cui non vendono neanche un grammo di cibo (vi assicuro che pure nel miglio più sperduto della Route 66 o nel mezzo della Navajo Nation troverete qualcuno che ha deciso di aprire una tavola calda) e abbiamo lasciato zaini e acqua in auto perché le indicazioni dicevano che il trail di fronte a noi era lungo 300 metri.
E io non dico che a Canyonland non esista un trail lungo 300 metri (giuro, non sto dando del bugiardo a nessuno, men che meno ai cartelli), però SICURAMENTE non era quello che siamo finiti a fare noi, perché ci siamo ritrovati sul bordo del canyon per 30 minuti col sole a picco senza capire come cazzo tornare alla nostra auto.
Quindi potrebbero essere state le allucinazioni, non posso negarlo con certezza, ma di base Canyonland è un parco davvero molto figo e meno scontato dei suoi colleghi più famosi. Se poi non vi perdere è anche meglio, ma forse no, chi lo sa…

Considerato che la vera causa di tutte le sfighe della giornata sono stata io e che Andrea non aveva ancora tentato platealmente di uccidermi (anche se ad un certo punto insisteva nel dire che l’auto non si apriva più, ma lui era riuscito a rientrarci, uhm…), volevo farmi perdonare portandolo a cena in un posto carino a Moab.
Esistono posti carini a Moab? Incredibilmente sì.
Qual è la peculiarità dei posti carini all’estero? Che se c’è un altro italiano, stai sicuro che te lo ritrovi lì.
Quindi andiamo a cena, ci sediamo, ordiamo, ci godiamo lo scenario western che ci circonda finché Andrea non sposta lo sguardo e lo vede. A 8mila km da casa, seduto a tre tavoli di distanza da noi, c’era Mauro Boselli il curatore e sceneggiatore di Tex.
Presente il fumetto? Ecco.

Ogni mio tentativo di rendere questa vacanza indimenticabile grazie alla mia presenza è finito in quel momento: non potevo più vincere.
È impossibile fare qualcosa di più bello di questo. Sono stata battuta in grande stile.
Ma Andrea sorrideva felice come un bambino a Natale e la cosa, come bellezza, se l’è giocata col parco di Canyonland.

Mi sono divisa la lettura in 3 parti, una per ogni giorno di racconto, per godermela più a lungo!
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