Southwest – diario di viaggio: quarta parte

(la versione ‘diario day-by-day’ scritta mentre eravamo in viaggio la trovate sulla nostra pagina Facebook. Qui sul blog proviamo ad essere un po’ più posati e magari più utili per chi volesse replicare la nostra esperienza)

Daje che finiamo

Qui la prima parte.

Qui la seconda parte.

Qui la terza parte.

Day 13 e 14: Las Vegas

Ora tocca scrollarsi la polvere di dosso perché saltiamo in auto e guidiamo alla volta di Las Vegas. Oddio, a dir il vero appena prima facciamo l’ultimissima puntatina al Red Canyon che – ATTENZIONE – non va confuso né col Red Rock Canyon (nei pressi di Las Vegas) né con il Red Rock Canyon State Park in California. Qui siamo ancora in Utah e il paesaggio ce lo ricorda: la similitudine più smaccata è con Bryce, ma si tratta di un canyon/parco che potete tranquillamente visitare in auto, tramite una scenic road davvero suggestiva.
Ma a parte questo, dicevamo, Vegas, baby!
Parcheggiamo, entriamo al Mandalay Bay e… SBAM, 64° Fahrenheit (17,8°C).
Per altro il riscaldamento non è con i termosifoni ma con un getto d’aria calda o fredda; ogni posto ha un contro-soffitto con i bocchettoni dell’aria in ogni stanza. Capite bene che appena si spegne la temperatura sparisce 90 secondi dopo. Per mantenere una temperatura ambiente (ma quale ambiente che siamo nel deserto e pare di stare a Stoccolma a gennaio) fissa a 24.4°C è il minimo che debbano bombardare ogni giorno un diverso paese del Medio Oriente. Capiteli.
L’assurdità di Las Vegas inizialmente ci inibisce ulteriori pensieri. Non comprendo la necessità di mettere una riproduzione di Predator nella fake-Piazza San Marco del Venetian (qualcuno ha info?) e mi spiace che non esistano più le location del vero film simbolo di questa città (NO UNA NOTTE DA LEONI, MANNAGGIA A VOI): Casinó.

Il secondo giorno avevamo in programma il museo del neon (che se non lo fai qui…), ma la piscina ha esercitato un fascino a cui non abbiamo saputo dire di no.
In piscina, dove il gioco più violento a cui riesco a pensare è ‘fare i pirati’, abbiamo visto bambini giocare alla guerra. Marines contro terroristi, marines contro cattivi, marines contro Obama (Sanders non va di moda?). Fucili d’assalto in plastica scala 1:1, bambini-ostaggio, costumi mimetici.
In piscina.
Nell’hotel da dove l’anno scorso uno ha sparato sulla folla.
Però se sottolinei l’incongruenza ti guardano male.
Io boh. Però la piscina, ah, la piscina una goduria.

Le tipiche Gondole di Las Vegas


Comunque anche la passeggiata sulla Strip ha il suo perchè: cammini e se riesci a superare l’imbambolamento iniziale, ogni cosa suscita una domanda. Che di solito è: ‘ma santiddio perché?’.
So che detta così sembra il posto peggiore del mondo, ma sapete cosa? Per due giorni è davvero figa.

Day 15: Las Vegas – Two Pines Chapel – Los Angeles
Lasciamo la luccicante Vegas per dirigerci verso l’ultima tappa attraverso una giornata piena di miglia da fare. Prima di arrivare a Los Angeles, però, ci dirigiamo fino in culo al Mondo, che di solito accade quando alle strade non danno manco più un nome, ma una lettera. Così ci ritroviamo in aperta campagna su Avenue G in mezzo ad ammassi di lamiere 100% amianto circondati da rottami d’auto. La teoria è che fino a 3 auto funzionanti per nucleo familiare è ‘benessere’, oltre le 4 carcasse d’auto è ‘disagio’. Al momento la teoria regge, infatti siamo tipo a Disagioville. Non siamo qui solo per puro spirito antropologico, ma perché il location scouter di Kill Bill si è guadagnato la pagnotta trovando la Two Pines Chapel. La chiesa è ancora in attività ed è gestita dagli Avventisti del Settimo Giorno, dottrina di cui non so nulla ma visto che la coppia che c’ha accolto c’ha regalato un libro mi sento in dovere di approfondire (sto scrivendo questo post a mesi di distanza e il libercolo ancora mi fissa dal ripiano dove l’ho appoggiato e istantaneamente dimenticato. Eh, oh, io uso il Kindle).

Football time

A LA ci siamo diretti allo StubHub per vedere Charges vs Saints, perché già lo scorso viaggio avevamo saltato la partita di football E IO NON L’AVEVO PRESA BENISSIMO.
Uno di noi è fan dei Chargers? Dei Saints? Ovviamente no. Le partite dell’NFL hanno molto da insegnare, sia in positivo che in negativo.
Positivo: tutto è uno show, quindi anche se la tua squadra perde, tu di sei goduto una bella serata. C’è un forte senso di comunità, quindi c’è spazio per le scuole, i backstage della squadra, gli eroi cittadini, le premiazioni, i giochi, etc. Si mangia, ma non avete idea quanto. Non c’è ‘odio negativo’ nei confronti dell’avversario, anzi: le belle giocate ottengono applausi da ambo le parti.
Negativo: fermare il gioco per dare spazio a sponsors o balli è allucinante. Tutto il contorno è allucinante. Tipo le cheerleaders. Le cheerleaders seguono una routine folle: durante l’azione sono immobili con le mani dietro la schiena, ma non appena la palla tocca terra si voltano verso il pubblico e fanno cose. Come se per lo spettatore fosse intollerabile aspettare quei 10 secondi tra due azioni. La gente si alza continuamente dal proprio posto. Non dico che si dovrebbe stare come al cinema, ma manco così.
In ogni caso la partita mi ha permesso di vedere cose che mai avrei sperato (tre conversioni da due! Live!) quindi è tutto un grande sì.
Scrivo queste ultime righe a nome di Andrea e per tutti gli appassionati di calcio: sì, il football è una rottura di coglioni come sembra.

Day 16 e 17: Los Angeles
Los Angeles è una di quelle città che ha poco a che spartire col resto d’America (proprio come NYC e San Francisco), ma forse questo vale per tutta la California. Ha un’estensione tale per cui è impossibile vederla davvero se non venendoci tipo 20 volte e soggiornando ogni volta in un quartiere diverso. Noi abbiamo scelto Manhattan Beach: dopo miglia e miglia in auto e piedi, ci siamo arenati qui, a goderci il sole e il mare.

Ultimo giorno a Manhattan Beach

E’ un quartiere fantastico. Atmosfera rilassata e positiva. In spiaggia ci sono surfisti, gente che si allena, gente che finge di allenarsi (pure qui!), matricole delle università, ragazzini che pescano (??? Infatti son durati tipo 20 minuti), famiglie allargate e noi. Gli unici non a km zero.
Per non smentirci andiamo fino al Pier, per vivere un po’ dell’atmosfera di La La Land (ma non ci siamo aggrappati ai lampioni e non abbiamo importunato anziani)(credo).
Poi spiaggia. Riposiamo e l’indomani è tempo di partire. Il viaggio è finito.

Ultima tratta


Una risposta a "Southwest – diario di viaggio: quarta parte"

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.