Day 1: Jakarta / Yogyakarta, Java
Giorno…1?
Davvero?
Sarà che quei 3 aerei per un totale di 24 ore door-to-door si fanno sentire…
E sì, i voli sono tre perché partiamo subito con la prima tappa: breve scalo a Jakarta per l’immigrazione senza visto e via subito per Yogyakarta.
Quindi mentre io sono presa da un’attenta valutazione per capire se la mia insonnia sia un vantaggio o meno viaggiando verso est (spoiler: non è MAI un vantaggio), Andrea viene incredibilmente preso in simpatia dal nostro taxista (ma pressing a parte son tutti gentilissimi): l’inglese dei locals sarà anche stentato ma sui calciatori italiani sono preparatissimi tutti.
Il taxista – che per brevità chiameremo John perché per sua ammissione il suo nome è troppo complesso (e infatti non me lo ricordo!) – ci tiene anche a farci sapere che siamo fortunati perché proprio quelli accanto a me sono (testuale) ‘la squadra nazionale più forte, tipo la Juventus indonesiana’.
Faccia mia -> 🤦🏼♀️
Faccia di Andrea -> 🥳
Il resto della giornata l’abbiamo passato girando nei vicoletti accordandoci con la gente per le escursioni di domani.
E il plurale, drammaticamente, non è un errore.

Day 2: Yogyakarta, Java
Oddio, giorno… la sveglia suona alle 3 perché l’agenda di oggi è fittissima e parte con il Borobudur, il più grande tempio buddhista del mondo, che ho deciso di visitare rigorosamente all’alba del primo giorno per dare un senso al jet-lag.
Faccia mia -> 🤩
Faccia di Andrea -> 🤬
Arriviamo, ci danno due torcette in mano e ci dicono ‘di là’, indicando le tenebre più nere. L’ambiente è surreale, ma sa un po’ di Indiana Jones: cammini a caso, scali dei gradoni, percepisci delle ‘cose’ di pietra vicino a te e ti prepari ad urlare ‘quello dovrebbe stare in un museo’, ma finché non sorge il sole non capisci nulla, sei solo avvolto dal buio e dai canti delle moschee vicine. Al primo raggio, capisci perché valeva la pena svegliarsi alle 3: improvvisamente sei attorniato da oltre 500 Buddha di pietra e più di 2500 pannelli scolpiti in una sorta di massiccia ziggurat. Puoi essere ateo quanto ti pare (poi un giorno apriremo il capitolo ‘religione di una coppia Veneto-Toscana’), ma l’aura di sacralità e misticismo zittiranno ogni dubbio.
Finita la visita, facciamo colazione ed esploriamo altri due piccoli templi nelle vicinanze: Candi Pawon e Candi Mendut. La deviazione è minima, quindi pensateci.

Ma se parlo di deviazione è perché mica avevamo finito: risaltiamo in auto e andiamo verso il Prambanan, un complesso di templi induisti che non disdegna la solita compagnia di moschee e di una struttura buddhista.*
Perché stare tutti insieme senza aver paura si può e forse quando sei circondato da tanta bellezza e zero gente che urla (letteralmente e non) è un po’ più facile.
Il Prambanan è imponente in senso verticale, con una leggenda che avvolge la costruzione dei tre principali edifici, dedicati a Brahma, Vishnu e Shiva.
Mi fa strano camminare – seppur con una gonna lunga – accanto a persone dal capo coperto a diversi livelli, continuo a chiedermi se sto mancando di rispetto a qualcuno o qualcosa, eppure nessuno dice nulla, neanche tramite sguardi.
Eravamo solo tante persone impegnate ad ammirare una costruzione secolare che è sempre messa a rischio dai continui terremoti.
Forse è magica anche per quello.
*sì, le persone normali sconsigliano di fare Borobudur e Prambanan nello stesso giorno. Le persone normali però hanno altri blog.
Day 3: Yogyakarta, Java
Di tutte le cose che avevamo in programma non ne abbiamo fatta nessuna. Ciao programma, ciao .
Yogyakarta ci sta trattando così bene che non volevo andarmene a visitare altro: volevo vedere questa città. Porella, mica è solo un punto d’appoggio, NON VOGLIO TRATTARLA COME TUTTI TRATTANO CONEGLIANO, MERA BASE PER VISITARE VENEZIA SPENDENDO POCO (ciao pro loco di Conegliano, io ho delle idee, chiamami)(vale anche per Lucca, chiamami Lucca).
Quindi saliamo su un tuktuk e andiamo a visitare il Taman Sari, il palazzo dell’acqua.

Ora: ‘palazzo’ è estremamente fuorviante.
È un insieme di edifici inframezzati da case che lo trasformano in un unico dedalo. E giuro, non è una definizione che uso per giustificare il fatto che dopo un’ora ci siamo persi: è IMPOSSIBILE capire dove andare e l’opuscolo all’entrata non ha una mappa. Che voglio dire: quale pensate che sia l’obiettivo di un opuscolo, eh, indonesiani? Spiegatemi.
Il nostro obiettivo, al netto di raccogliere idee per un’ipotetica casa milanese che non ci possiamo permettere, era uno: la moschea sotterranea.
Non vi dico in che condizioni pietose ero quando l’abbiamo trovata dopo aver girovagato per chilometri sotto il sole senza uno straccio di cartina.
Faccia mia -> 🥵☠️
Faccia di Andrea -> 🧐
Non so perché ma eravamo gli unici non orientali e non musulmani (a capo scoperto eravamo io e una manciata di giapponesi). È strano? Secondo me sì. L’ansia da outfit-che-non-offenda sta sparendo, sarà che tra i complimenti ai tatuaggi e le foto che ci chiedono di fare iniziò a sentirmi a mio agio.
Oddio, l’idea che metà del mondo consideri ME, bianca coi capelli rossi, l’essere più esotico che abbia mai visto rimette un sacco di roba in prospettiva… ma finché fammi fan solo foto son ben felice.
Disgraziatamente poi scegliamo di spostarci a Malioboro che è l’inferno in terra: il peggior agglomerato di negozi finto-indonesiani del mondo.
Chi ve lo consiglia è un delinquente.
Non perdeteci neanche un minuto.
Torniamo verso la zona di Prawirotaman per cenare e prepararci per il prossimo volo: tra qualche ora si atterra a Bali.

3 risposte a "INDONESIA – diario di viaggio: prima parte"